Sono passati due mesi (in alcune regioni anche di più). E’ tempo di bilanci. 60 giorni di scuole chiuse, di didattica a distanza, di fatiche organizzative, emotive e relazionali.
Due mesi nei quali, ormai lo si è detto in tutte le salse, i bambini e i ragazzi sono stati i grandi assenti da tutti i decreti, improvvisamente reclusi in casa h24, come se fosse normale privarli della loro vita sociale, delle amicizie (sì, la scuola per i ragazzi è soprattutto quello), del rapporto affettivo con le maestre (per molti bambini la scuola è anche questo) così, da un giorno all’altro: ripeto, da un giorno all’altro, senza potersi dire un “ehi, da domani la scuola chiude, non sapremo per quanto, forse un mese o anche più, organizziamoci il materiale e il lavoro, salutiamoci un po’ come si fa a giugno … ma, mi raccomando, debitamente a distanza”. No, non è stato possibile.
Che cosa ho visto in due mesi di Dad? Innanzitutto l’errore di iniziare a fare prima di progettare. Le linee guida sulla Dad sono arrivate tardi, quando già molti docenti si erano attivati, chi bene, chi meno bene. Si sa, l’ansia da programma gioca brutti scherzi nel mondo della scuola. Se appena chiuse le scuole la ministra avesse detto ai docenti: fermi tutti, per 15 giorni non affannatevi sulle cose da fare, mantenete il contato emotivo con le famiglie e gli alunni, fate sondaggi su quali strumenti tecnologici hanno in casa, al limite date un libro da leggere ed esercizi di ripasso, ma aspettate. Keep calm. C’è un’epidemia in atto. Decidiamo bene come fare la Dad, poi partiamo.
E invece no, certe scuole secondarie sono partite subito in quarta, altre invece molto a rilento, all’inizio molti docenti hanno confuso la Dad con i compiti estivi, e giù di svalangate di pagine da studiare e esercizi da fare mandati via mail, tutto in autonomia. Poi è apparso Google Meet, il salvatore della patria della didattica a distanza. Peccato che, lo dice la parola stessa, servirebbe anche per incontrarsi, fare gruppo, riprodurre una specie di classe virtuale. Non perché i docenti ripropongano lì, dietro ad uno schermo, la lezione frontale, sulla cui utilità avrei molto da ridire anche nella didattica in presenza.
Ho visto invece docenti virtuosi, che hanno seguito webinar, si sono messi in gioco, hanno tenuto su il morale ai ragazzi, hanno risposto a mail a tutte le ore, hanno imparato a fare video per spiegare nuovi argomenti. Una sorta di ‘didattica capovolta’, usando anche la miriade di contenuti interessanti che la rete offre. Hanno capito che far parlare i ragazzi era importante, perché così chiusi in casa molti adolescenti stanno perdendo la capacità di comunicare. E su quella dovete lavorare ora, cari Proff. Non solo interrogandoli, mettendo un voto, e siamo a posto. E magari mettendo una nota se uno consegna con un giorno di ritardo. Veramente possiamo usare, in una fase così distopica, gli stessi rigorosi criteri di un tempo? Urge cambiare tanti paradigmi di sistema, o questa pandemia e questi due mesi di Dad non ci avranno insegnato nulla.
E la scuola primaria come sta messa? Anche lì, come sempre, è una roulette. Dipende dai docenti. Alcuni assegnano a casa lavori fighissimi, esperimenti da progettare, danno mini video da fare ai bambini dove loro spiegano i decimali ai compagni, fanno videochiamate con i bambini; e con le loro famiglie. Molti maestri e maestre hanno dato un notevole sostegno morale ai genitori! Altri, ahimé, hanno invece trattato le famiglie come dei muli, caricandole di un lavoro mostruoso. Costringendo i familiari ad affiancare, troppe volte, i loro figli per connettersi in videolezione, costringendo i genitori a spiegare cose non spiegate, a stampare, scannerizzare, fotografare, uploadare una marea di compiti che i bambini non sapevano fare da soli. Lo so, magari lo hanno fatto inconsapevolmente, senza dolo, perché anche alla primaria scatta spesso l’affanno delle cose da fare. “Se non finiamo le tabelline quest’anno, poi come faremo in terza!”, “Se non finiamo questa parte di analisi logica, il prossimo anno sarà tutto da recuperare!”. Ma veramente?
Ma abbiamo chiaro che i cocci da recuperare a settembre saranno altri, non saranno quelli delle nozioni e degli argomenti non fatti? (certo, ci sarà anche quello, ma come direbbero i giovani #chissene). Ci saranno i cocci emotivi e relazionali di una spina staccata per mesi, di un percorso scolastico interrotto, di un rito di chiusura mancato (se penso agli alunni alla fine di un ciclo), di un’estate che per i nostri bambini e ragazzi sarà fatta di distanze, di controllo, di mascherine, di zero abbracci. Ma la state visualizzando? Io si, e mi preoccupa.
Che cosa possiamo e dobbiamo fare ora, per chiudere bene l’anno scolastico e iniziare decorosamente a settembre?
Innanzitutto, e mi appello soprattutto ai Proff, almeno quest’anno evitiamo il motto “maggio, programma mio fatti coraggio”. Guardate che i ragazzi sono stanchi, spenti, ormai un po’ demotivati. E in questa fase 2 ancora molto limitati nella loro libertà. Tenetene conto, non mettete troppa carne al fuoco, l’importante è mantenere quanto fatto fino ad ora, dare loro stimoli interessanti, obiettivi motivanti. Almeno quest’anno deragliate dal classico approccio di maggio fatto di troppe verifiche, interrogazioni e argomenti da chiudere. Sennò la Dad diventa una brutta fotocopia della Dip (la didattica in presenza, acronimo ironicamente coniato da Daniele Fedeli)
Rispetto alla ripartenza a settembre, sto organizzando le idee e una serie di proposte le avrei, eccome se le avrei! Mi ci vorrà un secondo articolo per elencarle tutte. Faccio come con le serie di Netflix, nei prossimi giorni la puntata numero 2. Tanto ormai ci siamo abituati.
Comincio ora ad andare per esclusione, e dico a chiare lettere una cosa: la proposta della Didattica mista, con metà alunni in classe e metà connessi in contemporanea da casa, è una delle cose più assurde, infattibili, disfunzionali, inutili e didatticamente sbagliate che si possa pensare.
Tutto, ma non la Dim.
Che qui tra Dip, Dad, Dim sembriamo più suonati che le campane!