Un anno scolastico da dimenticare

Eccoci qua: l’anno scolastico più assurdo di sempre è ufficialmente finito.
Eh sì, molti non lo sanno, ma l’8 o l’11 di giugno è stato l’ultimo giorno di scuola per gli alunni, non per i docenti, che tra scrutini, riunioni, chiusure progetti, organizzazione delle classi per l’anno successivo e corsi di recupero qua e là hanno ancora del lavoro da fare, anche se meno faticoso di quando sono in classe. E chi insegna all’infanzia fino alla fine di giugno lavora con i bambini, non dimentichiamolo!
E’ dunque tempo di bilanci… che ne dite se facciamo il gioco del “Se fosse”? Lo propongo spesso ai bambini e ai ragazzi nei miei laboratori, proviamo anche noi?

Se fosse un sentimento… questo anno scolastico per me sarebbe l’amarezza. 
Con un tocco di delusione, mista a rabbia. Perché questo è stato l’anno delle occasioni perse, del mancato rinnovamento. Poteva essere l’anno per sperimentare l’outdoor education, la scuola diffusa sul territorio. Ma, tranne qualche rara e preziosa esperienza, non ho visto spazi allestiti per fare scuola all’aperto: mi immaginavo di trovare nei cortili delle scuole tavoli, panchine, gazebo (fatela voi lezione all’aperto, col sole sulle capocce!), e invece nisba: tutti seduti in classe, nei banchi, immobili e distanziati, disposti in rigide file stile “plotone d’esecuzione” , lo scotch a terra per segnare i confini relazionali; e le poche, straordinarie scuole che hanno tenuto duro e continuato a lavorare con i banchi ad isole di apprendimento hanno dovuto farsi redigere una bolla papale per dimostrare che “erano in regola”! Di scuole che hanno continuato a fare laboratori, lavori di gruppo e a disporre i banchi a gruppi di 4 – con tanto di approvazione dell’ingegnere del piano sicurezza – ce ne sono state, eh… già questo dovrebbe far riflettere tutte le altre scuole, dove invece non si sono mossi i banchi fino a giugno, in una follia generalizzata in cui un protocollo Covid redatto ad ottobre – e mai aggiornato come si deve – ha incatenato ogni azione pedagogica.

E che dire dell’idea di usare i teatri o le biblioteche per fare comunque scuola in presenza? Esperienze non pervenute. Vuoi perché per dividere le classi in sottogruppi e spostarsi in un teatro bisognava avere più docenti, e invece – incredibile dictu – spesso ne sono mancati più degli altri anni. Vuoi perché la scuola è ingabbiata in una burocrazia allucinante (so di insegnanti che devono redigere un modello DVR per fare una passeggiata nel quartiere, chissà cosa dovrebbero compilare per uscire a fare lezione in un altro luogo!). E così i teatri sono stati nove mesi vuoti, inutilizzati. E i ragazzi sono rimasti a casa, nel torpore delle loro camerette, dietro uno schermo.

– Se fosse un’immagine… questo anno scolastico per me sarebbe l’“Urlo” di Edvard Munch. 
In quel quadro vedo la solitudine e la demotivazione di tanti ragazzi reclusi ingiustamente nelle loro stanze, con una Dad troppe volte ripetitiva e ammorbante spacciata come la panacea della mancata presenza; vedo il mondo adulto (non tutti gli adulti, per fortuna! ) distante da loro, e di spalle, un mondo di governanti che ha lasciato vergognosamente la scuola al fondo delle priorità; vedo l’angoscia di un anno scolastico faticosissimo, trascorso nella perenne incertezza, di ragazzi, genitori e insegnanti (al venerdì scoprivi se il lunedì la scuola sarebbe stata aperta o chiusa); vedo lo sguardo sconvolto delle famiglie che hanno dovuto aspettare che il governo capisse, ad aprile, che le scuole non erano focolai e si sarebbero potute e dovute tenere più aperte (ma ormai la frittata era fatta). Vedo un Sistema scuola dove è mancata, tranne in rari casi, un’attenzione emotiva al disagio psicologico degli adolescenti: in molte (troppe) scuole abbiamo assistito, da gennaio in poi, alla corsa al programma, alle verifiche, ai voti, si è vista la folle “alternanza del 50 e 50”; folle perché, quasi sempre, in Dad si spiegava e in presenza si interrogava perché “dei ragazzi non ci si può fidare” , si sono calcolate le medie matematiche (sì, anche quest’anno, sob), si sono affibbiati i 2 sul registro a metà maggio, si è usata in Dad la stessa logica di insegnamento, e di valutazione (sull’efficacia della quale ci sarebbe da ragionare anche in presenza), senza vedere quanti i ragazzi si stavano perdendo per strada.

Molti insegnanti si sono fatti in quattro (anzi, in otto) per i ragazzi, e gliene rendo merito! Ma non sono bastati. Perché quelli che si sono irrigiditi, quelli che hanno continuato a spiegare, verificare, interrogare, processare, giudicare e a trattare tutti in modo uguale (dimenticando che la scuola deve promuovere equità, non uguaglianza), prendendo i bravi della classe come metro del ritmo da tenere (ma i bravi non fanno testo! imparerebbero anche di fronte al cartonato del prof!)… ecco, quegli insegnanti hanno fatto molti danni. E io un po’ li capisco, credo sia stata una reazione psicologica allo stress, una forma di coping reattivo disfunzionale. Lo aveva detto bene Enrico Galiano, quando a gennaio in un post sollecitava i colleghi in affanno sul programma a fermarsi, e scriveva che “pensare al programma, mentre fuori c’è una pandemia con le sirene dell’ambulanza che ti passano sotto mentre spieghi il passato remoto, è come pensare a lucidare le maniglie mentre la nave va giù” . Io li capisco, questi insegnanti: anche io facevo docenze on line, so quanto sia stancante e deprimente. È stato un “annus horribilis”, ma per alcuni pensare che fosse “come tutti gli altri” forse era rassicurante.
Questi insegnanti li capisco, ma non posso giustificarli completamente. Perché le possibilità per aggiornarsi, per imparare a fare meglio la Dad, per farsi dare un supporto psicologico e pedagogico c’erano. Chi voleva, le ha trovate. Mi dispiace, vorrei poter essere più buona (ma forse sarei buonista), vorrei scegliere come quadro un paesaggio impressionista, o l’abbraccio di Klimt. Ma vedo solo l’Urlo di Munch.

– Se fosse un gioco… questo anno scolastico per me sarebbe il Monopoly.
Avete presente quelle partite infinite, quando non ne puoi più, e pazienza se stai giocando male, hai perso un mucchio di soldi, gli avversari si prendono le tue proprietà, hai smarrito la forza di contrattare e vuoi solo arrivare alla fine? Ecco, la sensazione è quella, e io la sentivo negli studenti, nelle famiglie e anche negli insegnanti. E’ stato logorante questo anno, forse proprio perché, come può accadere – sbagliando – a Monopoly, non si è pensata una strategia dall’inizio. E non la si è pianificata e modificata cammin facendo.
Ogni area rossa era come ‘tornare in prigione’, se poi beccavi una o più quarantene eri come quel giocatore sfigato che mentre gli altri tirano i dadi ed avanzano rimane fermo per più giri. I docenti che volevano fare qualcosa di bello e innovativo venivano bloccati, manco avessero beccato la carta imprevisti che ti dice che hai scoperto improvvisamente di avere molte tasse da pagare. La carta probabilità era pane quotidiano. Insomma, come diavolo si fa a lavorare bene così? Quello che dispiace, davvero, è che a pagarne le spese più grandi siano stati gli adolescenti. Purtroppo questa fase della vita non è un gioco, e si sono sottovalutate le ripercussioni negative, nel lungo periodo, della Dad e della mancata socializzazione. La dispersione scolastica sarà solo uno degli effetti; l’aumento dei casi di disagio psicologico, di autolesionismo, di disturbi alimentari, di attacchi di panico li abbiamo già rilevati. E purtroppo non basterà un tiro di dadi per sistemare le pedine.

– Se fosse un fiore… questo anno scolastico sarebbe per me la ginestra.
Il famoso ‘fiore del deserto’, quella che cresce ovunque, anche in mezzo alle rocce o in zone aride, quella a cui addirittura Leopardi ha dedicato una poesia, quella che spesso è utilizzata come simbolo della resilienza. Sì, resilienza! Parola abusata, ultimamente (pure il governo l’ha rubata alle scienze sociali), ma importante. Quest’anno, a scuola, tutti noi ne abbiamo tirata fuori tanta. Tantissima! I bambini sono stati tenaci, non hanno mollato, hanno imparato in pochissimo tempo a tenere la mascherina tutto il giorno, hanno accettato di non usare la palla, di non scambiarsi la merenda, di non giocare con gli altri amici della scuola (ah, le classi bolla!), hanno imparato modi nuovi per starnutire, salutare, igienizzarsi le mani. Abbiamo dovuto allenarli a mantenere le distanze fisiche, ma non quelle emotive, ci siamo preoccupati, da adulti, di non far vivere i nostri alunni/figli con l’ansia da Covid, e allora a casa abbiamo invitato lo stesso un amico a giocare, ma sempre col timore del contagio, e allora a scuola abbiamo fatto fare un cartellone a coppie, ma sempre col dubbio: “sto rischiando troppo?”
Abbiamo dovuto far resistere i nostri figli che volevano mollare lo sport, o la scuola, perché gli si era spenta la motivazione, abbiamo dovuto litigare per staccarli dagli schermi (maledetta iperconnessione!), abbiamo dovuto essere dannatamente resilienti anche noi genitori!
E infatti ora, a fine giugno, molti di noi sono stanchi e logori nell’anima.

Il gioco del “Se fosse”, per oggi, lo chiudo così. Niente ottimismo né vena ironica. Per la scuola non ne ho più… confido di recuperarli con l’estate!

E se fossi il governo, mi attrezzerei al meglio per non farci vivere un altro anno scolastico così.
Certe esperienze vanno dimenticate e archiviate, non replicate.



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