Son quasi due mesi che non scrivo. Non solo perché ero piena di lavoro. E’ che quando sono troppo amareggiata perdo le parole, divento afona nella scrittura.
E’ stato un novembre soleggiato, ennesima beffa di questo dannato 2020: fuori c’era il sole, e dentro un lockdown dei sentimenti crescente. Soprattutto nei nostri ragazzi, quelli sopra i 14 anni, ai quali si è deciso, in un sol colpo, di togliere: scuola, sport, teatro, musica, danza, centri aggregativi, luoghi di ricreazione. TUTTO. “Dov’è il problema?” – hanno obiettato in molti – “hanno la Dad, le loro camerette calde, il cellulare, i videogiochi e le serie TV. Di che si lamentano?” Nelle regioni rosse questo delizioso menù si è dato già dalla seconda media, tanto per gradire.
Se sommiamo i due lockdown, abbiamo regalato agli adolescenti più di 100 giorni in un anno reclusi in casa, ed in questa seconda tornata gli unici che davvero non potevano uscire (se volevano rispettare le regole), erano proprio i ragazzi: i genitori uscivano per lavorare, i figli restavano a casa. Un paradosso! In questo secondo lockdown multicolor lo smartworking era consigliato, ma poco praticato (vuoi mettere avere la segretaria in ufficio, per controllare quanto lavora?); pure i parrucchieri (con tutto il rispetto che ho per loro) erano diventati un’attività essenziale… la Scuola no. Lei mai.
In Italia la Scuola è sempre l’ultima, è quella che riceve meno finanziamenti e meno apprezzamenti; così, se c’è un problema, è la prima ad essere fermata.
Nel lockdown in Irlanda la scuola era annoverata tra le attività essenziali (quando l’ho letto mi sono commossa), i francesi l’hanno lasciata aperta fino alle superiori, così come i rigorosi tedeschi. Se guardate la cartina europea, gli unici con le scuole superiori chiuse da così tanto tempo, e che lo saranno ancora per un po’ siamo noi (non vorrete credere alla farsa della riapertura del 7 gennaio per tutti? Se va bene faranno andare a scuola, come è giusto e doveroso, i ragazzi di prima superiore, mentre per gli altri ci sarà ancora tanta DAD-DDI… DUDU e DADADA!).
Insomma, in Italia deteniamo il primato di aver “rubato”, con nonchalance, quasi un terzo dell’anno di vita ad ogni adolescente! Rubato, sì. Perché per noi adulti un anno vale l’altro. Ma 14 o 16 anni li hai una sola volta nella vita, santo cielo! “E cosa si poteva fare?”, direte voi. “C’era l’emergenza sanitaria, i trasporti intasati, il contact tracing saltato, 1000 ragazzi per scuola… è un attimo che il virus circoli, e siamo fritti!” È vero, c’erano molte cose che si potevano/dovevano fare prima. Lo sappiamo.
Ma chiudere le scuole, in questo secondo lockdown, è stata una scelta immediata, reattiva: non si è neppure tentata una strada alternativa, ma si è optato subito per la più facile, la più comoda.
Avete sentito parlare, ora che la scuola è chiusa, di proposte per sistemare significativamente il problema dei trasporti, di progetti per cercare nuovi spazi in ogni città per dislocare in succursali un po’ di classi degli Istituti numerosi? Avete sentito parlare di un’iniezione di nuovi docenti alle superiori? (visto che molti si sono anche ammalati… e continuano ad ammalarsi anche ora che la scuola è chiusa… incredibile, eh?). Avete sentito parlare di progetti per inserire altre figure nella scuola, come ad esempio gli educatori, per gestire piccoli gruppi di studio pomeridiani (dove sia garantito il distanziamento e la sicurezza) per aiutare i ragazzi a seguire i ritmi di questa faticosissima Dad (azione comunque ancora pensabile per i prossimi mesi)? No, tutte azioni non pervenute.
Si sono chiuse le scuole, aspettando che la curva dei contagi scendesse. Apperò, una strategia davvero innovativa! E nel mentre ai nostri ragazzi, come dolce palliativo alle loro relazioni rarefatte, si è offerta la mitica Didattica a distanza.
A metà ottobre scrivevo: la scuola quest’anno deve ribaltare le priorità, focalizzarsi sul generare spazi, in presenza e virtuali, di benessere relazionale per i ragazzi, spazi di socialità, di confronto, di dialogo, di sviluppo del pensiero critico. La priorità è non perderci questa generazione.La priorità è curare le relazioni in classe. I contenuti li recupereremo il prossimo anno, per le relazioni compromesse ci vuole molto più tempo. E alcune, a volte, non si recuperano più.
Ed invece, presi dall’affanno del quotidiano (e li capisco anche i docenti, quest’anno lavorano in trincea, ogni giorno un’indicazione differente, c’è da impazzire!), travolti dalla burocrazia, le norme anticontagio, la privacy, i protocolli, i programmi, i voti (e come valutiamo in Dad? Poi copiano! Ci fregano!) in molte scuole questo novembre è stato come tutti gli altri anni in presenza. Maledettamente come tutti gli altri anni. Semplicemente mediato da uno schermo, che anziché essere un facilitatore di relazioni e di legami positivi è diventato spesso un odioso muro generatore di conflitti, frustrante per i docenti che stavano di qua, faticoso e noioso per i ragazzi che stavano di là. Pensate che in molte scuole lo si è detto come un vanto: “Ah, noi siamo andati avanti lo stesso, le verifiche le abbiamo fatte, non siamo rimasti indietro col programma, nonostante la Dad”.
Nonostante la Dad?? Ma non bisognava insegnare attraverso la Dad?
Tranne qualche rara eccezione, spesso frutto più di scelte virtuose e competenze del singolo che di vision di Istituto, nella Scuola nulla è cambiato. Nella classe virtuale non si sono riusciti a creare sufficienti spazi di relazioni e di benessere. Diversi ragazzi segnalano un’ansia da sovraccarico, da multi verifiche e da mille scadenze che non mi paiono proprio favorevoli all’apprendimento.
Ed anche quelli che sono invece easy e troppo rilassati (i famosi avvantaggiati dalla Dad) sono diventati delle amebe. Vivono tutto il giorno in pigiama, con un joystick in una mano, un toast nell’altra, il cellulare sul divano, e occasionalmente Meet aperto. Un successone evolutivo!
Stiamo creando una generazione di iperconnessi che comincia a dare segnali di insofferenza, perché da marzo scorso nessuno li ha fatti sedere ai tavoli, nessuno ha chiesto loro un parere, un’idea (magari anche su come co-costruire una Dad efficace), nessuno ha provato a fidarsi di loro, lasciando per esempio delle porzioni di socialità regolamentata.
Li abbiamo trattati come dei bambini, che dovevano restare a casa, obbedienti, davanti ai loro multischermi, li abbiamo ammorbati con ore di videolezioni in cui essere solo spettatori passivi, abbiamo persino deriso quanti di loro sono scesi in piazza a protestare… li abbiamo, in sintesi, mortificati.
Avevamo già capito ai tempi delle manifestazioni di Greta che “questo non è un paese per giovani”. Ora si stanno palesando le amare verità.
Lo so che tu che stai leggendo forse pensi, come me, “no, io non l’ho fatto, io sto dalla parte dei ragazzi!”.
Però tu che leggi, come me che scrivo, sei un adulto. E devi ammettere che il mondo adulto, i ragazzi, se li è dimenticati. Non li ha pensati. Non li ha tenuti in considerazione.
Non li ha considerati “una priorità”.
E allora, se anche tu come me sei un adulto, inizia come faccio io a chiedere scusa.
In nome degli altri.
In nome di quelli che lo scempio lo hanno fatto.
Scusate, ragazzi, per avervi chiesto così tanto e avervi dato in cambio così poco.
Scusate, ragazzi, potrete mai perdonarci?