Avevo promesso un bilancio su questa mia seconda settimana di vacanza (in realtà finita già da un po’, ma il rientro ferie mi ha travolta…ma come fate voi a tenere aggiornati i social, fare le lavatrici, gestire il lavoro quotidiano, mah… ). Comunque, dopo la prima settimana, divertente e sportiva, con la famiglia allargata veleggiando coi figli (un privilegio che i figli ventenni ci concedano ancora una settimana insieme), io e l’Husband ci siamo goduti una settimana su terra ferma, in quel paradiso che è Minorca.
Una settimana intera non ci capitava da un bel ventennio (ebbene si!), anche se negli anni abbiamo sempre cercato di ritagliarci dei weekend per noi, ci siamo regalati dei ponti lunghi, e abbiamo spesso goduto di un tempo di coppia quando, da piccolini, i nostri figli passavano due settimane al mare coi nonni. Ma un conto è essere a casa senza figli mentre si lavora, un conto è essere al mare per sette giorni, in coppia! Bilancio assolutamente positivo, direi!
Incredibile come cambino le priorità: quando siamo in vacanza coi figli la cosa prioritaria è la cambusa. E cuciniamo tanto, anche in situazioni scomode, come il campeggio o nella mini-cucina della barca a vela. Quando siamo io e l’Husband, invece, non spadelliamo quasi mai: ci sfamiamo con eterni aperitivi.
Anche in questa settimana, tra sangrie, olive, nanchos, piadine e tramonti, non abbiamo praticamente mai cucinato. Vacanza è anche questo.
Vacanza di coppia è stato muoversi in scooter, leggeri, due zainetti e niente ombrellone, ricordando le nostre vacanze di gioventù in Corsica in moto (peccato che allora avevamo 20 anni e una moto stabile, ora a 50 anni e con uno scooter a noleggio alla sera avevamo la schiena che gridava vendetta…mannaggia!).
Vacanza di coppia è stato leggere (leggere, leggere) sonnecchiare, girare per le città con calma, improvvisare i programmi per la cena, andare in spiaggia anche a mezzogiorno che chissene, alla sera concedersi una doccia tranquilla, darsi il doposole con calma.
Le vedevo le famiglie in vacanza, nei nostri giorni minorchini, le guardavo e non le invidiavo per nulla. Non mi mancano quegli anni coi bambini piccoli, proprio no…Certo, se penso alle risate argentine dei bimbi, alle coccole, alle frasi strampalate e divertenti, a quella sensazione di essere tutto per i figli, beh, un po’ di sana malinconia sale, è indubbio.
Guardandole ripensavo con tenerezza a quando io, noi, eravamo come loro, carichi di giochidaspiaggiamaterassiniborsafrigoombrellone, carichi di futuro e di famiglia ancora da costruire.
Li osservano in questi giorni i genitori, li vedevo, alcuni sereni e divertiti, per carità…ma molti erano sclerati, stanchi, reattivi, correvano continuamente dietro ai figli richiamandoli cento volte (sopratutto gli italiani), vedevo ancora troppe madri coi figli sempre intorno, o in braccio, che governano il ménage familiare anche in vacanza, e padri nelle retrovie, carichi come muli di zaini e giochi, ma che sbuffavano, o si isolavano sul cellulare. I padri più giovani, invece, coi bimbi nella fascia. Alleluia!
E così, tra un bambino che piange e uno che fa i dispetti al fratello, tra una mamma che allatta e un papà stanco che, comunque, si mette lì a fare i castelli di sabbia coi figli, avevo una gran voglia di raggiungerli, prendere loro il viso tra le mani, guardarli dritti negli occhi e dire, a gran voce: “Ehi attenti, fermatevi un attimo! Fate attenzione a non perdere per strada la vostra coppia! Se salta quella, salta tutto!”
Troppe volte nel mio studio vedo coppie che, nel fare famiglia, sono diventate così figliocentriche da essersi perse completamente la dimensione a due.
Si parla dei figli, si organizzano attività per i figli, si parla della scuola o dello sport dei figli, si sta con i figli, si cucina per i figli, si rassetta casa per i figli, si aspettano i figli la sera.
Bellissimo, per carità, ed importante. Però c’è un però ….
Il fatto è che vent’anni passano in un attimo, e se non si è accudita anche un po’ la coppia, se si è permesso che la dimensione di coppia fosse fagocitata dai figli (e da tutto il ‘gestionale familiare’ annesso) ci si ritrova a cinquant’anni a guardarsi negli occhi, quando si è soli, e a dirsi “Ahh salve, lei è quel collega che vive al mio stesso domicilio? Ahh, certo che abbiamo fatto un buon lavoro in questo progetto familiare, vero?!”.
La coppia non è solo la somma di due singoli. E’ una sorta di ‘terza entità’, come l’ho sentita egregiamente definire, pensate un po’, da un frate francescano.
E’ quella terza entità ha bisogno di spazi, di ossigeno, di maturare e di crescere anche indipendentemente dai figli.
E, attenzione, non serve necessariamente stare fisicamente senza i figli per nutrire e accudire la coppia. Certo, i weekend a due o delle mini-vacanzine aiutano, ma sappiamo che non tutti possono permetterselo, vuoi per assenza di aiuti materiali (non tutti hanno i santi nonni a disposizione), vuoi perchè la vita costa sempre di più, quindi figuriamoci il privilegio di fare viaggi di coppia. Lo so, non è facile.
Ma anche nella dimensione del quotidiano possiamo avere sempre un occhio di riguardo sulla nostra coppia! Fare ogni tanto dei bilanci sulla nsotra relazione, esplicitare al partner se ci sentiamo non visti o non supportati, dialogare tanto, ridere insieme, praticare il decentramento e agire il riconoscimento, stupire l’altro, organizzare piccole cose divertenti, coltivare passioni (comuni, e distinte), custodire piccoli momenti di tempo sospeso. E non parlare, sempre e solo, di questi benedetti figli!
Viviamo tempi difficili, lo sappiamo. Ce lo dicono i sociologi che la nostra è “la società dell’io”, maledettamente ego-referenziata, prestazionale, competitiva. E’ facile vivere la dimensione di coppia, in questi tempi moderni, dove si aggiunge il fattore narcisista, per cui dobbiamo essere sempre belli, in forma fisica, piacenti, dinamici? E’ facile vivere la dimensione di coppia, in una società che ci dice spesso, in modo subliminare, “pensa a te stesso, al tuo lavoro, coltiva i tuoi sogni”, quando poi ci rendiamo conto che la dimensione di coppia è in realtà correlata alla capacità di fare mediazioni tra i nostri bisogni e quelli dell’altra persona, ma più spesso anche alla capacità di accettare un compromesso, o di rinunciare? Rinuncio (nell’ottica dell’io), ma guadagno molto (nell’ottica del noi). Ma quel noi va costruito, mattone dopo mattone.
E’ semplice ed automatico, tutto questo? No, affatto, e non va dato per scontato. E vale sia per le coppie di lunga data, come nel mio caso, sia per coloro che si sono separati anni fa, ed hanno ricostruito una nuova dimensione di coppia. Anche questa non va data per scontata, anzi, con la variabile dei due nuclei ricomposti, le cose si complicano ancora di più.
Che fare, quindi? Direi che non rimane altro che fare quello che dice meravigliosamente Christiane Singer nel suo libricino “Elogio del matrimonio, del vincolo e altre follie” (non fatevi tradire dal titolo, è una perla utilissima per chiunque viva una relazione di coppia, anche senza il matrimonio…ovviamente la cornice è di tipo spirituale cristiana, ma io l’ho sempre letto con un taglio laico, ed è meraviglioso): “Ciò che rende il matrimonio (=la relazione di coppia) così luminoso e così crudelmente terapeutico è di essere l’unica relazione che mette seriamente al lavoro”. Mettiamoci sotto, allora! Che poi i figli ci ringrazieranno, un giorno, per non esserci occupati solo di loro!